di Efrem Fumagalli
Chi ha deturpato il viso
di queste donne aveva uno scopo preciso: emarginarle, devastarle tanto
da renderle repellenti allo sguardo.
Di questa pratica violenta
che va avanti dai primi anni ottanta, in Italia si sapeva poco o nulla;
così, la disperazione di queste bambine distrutte fisicamente
e psicologicamente è rimasta a lungo sconosciuta. Poi, nel
luglio del 1998 Renata Pisu scriveva su "D" di Repubblica: ".. Non
vogliono essere chiamate vittime ma sopravvissute, sopravvissute alla
violenza che intendono combattere e denunciare. Non si nascondono,
si mostrano. Ma quanto coraggio ci vuole per mostrarsi...".
Questa denuncia lanciata
con l'inchiostro che vuole vincere sull'acido, ci ha spinti ad intervenire
in Bangladesh: ne è nato un progetto che prevede attività
sanitarie e psicosociali sia di carattere urgente che a lungo termine.
L'esperienza trentennale
di COOPI nei paesi del Sud del mondo ci insegna che il ruolo della
donna è fondamentale nelle lunghe dinamiche dei progetti di
sviluppo. Nei processi di cambiamento infatti è decisivo, all'interno
delle comunità locali, l'apporto delle donne in quanto depositarie
dei valori, garanti dell'equilibrio e dell'organizzazione familiare.
La donna in quanto "educatrice" della pace, proprio perché
educatrice dei propri figli, è il tramite per arrivare a diffondere
un messaggio di legalità e di sviluppo.
In Bangladesh ci siamo
trovati però di fronte ad una realtà molto diversa da
quella a noi ben nota delle comunità africane o latino americane:
qui la donna è sottomessa prima al padre e poi al marito; non
deve possedere nulla, di conseguenza non ha diritto allo studio, ad
un lavoro, ad un salario.
Dice ancora, Renata Pisu:
"...La stanza di Bina, pulita, ordinata, tappezzata di manifesti
del movimento di liberazione della donna, sembra quella di una ragazza
dei nostri anni settanta, quando il femminismo era una forza travolgente.
E trionfante. Ma forse soltanto da noi, forse soltanto a parole. Ora
l'unica militante rimasta sembra essere lei..."
Bina, diciotto anni, ha
reagito in modo forte ed entusiasmante alla violenza subita con l'acido
solforico: non piegandosi agli schemi, vuole diventare assistente
sociale ed aiutare le giovani donne che, come lei, sono state sfigurate.
Quando lo scorso anno
presentammo il problema eravamo ancora agli inizi: le tante forze
del volontariato e della solidarietà che sono scese in campo
accanto a COOPI hanno rafforzato la nostra decisione di appoggiare
ed incoraggiare la forza di Bina, malgrado le difficoltà cui
siamo andati incontro intervenendo in Bangladesh. Il progetto che
abbiamo elaborato in favore non solo di queste ma di tutte le ragazze
colpite da questa assurda forma di vendetta, non può ridursi
ad un intervento di chirurgia plastica. Nelle pagine seguenti cerchiamo
di spiegarne la complessità perché tutti i nostri lettori
possano condividere con COOPI il grande impegno richiesto all'associazione.
di Silvana Scandone
La sola chirurgia plastica
non basta: la vera risposta sta in un'articolata progettualità
Colpite e segnate per
il resto della loro vita per un rifiuto, o perché la dote che
avevano portato al marito in occasione del matrimonio si è
rivelata inferiore alle aspettative. Questo allucinante tipo di vendetta,
scelta con sempre maggiore frequenza, ha l'atroce particolarità
di lasciare dei segni di sfregio molto gravi, colpendo la vittima
non solo fisicamente, ma anche nel suo ruolo sociale: nella maggior
parte dei casi queste giovani non potranno mai aspirare al matrimonio
ed alla maternità che restano, in Bangladesh, il ruolo principale
della donna.
Le donne così sfigurate
diventano una vergogna anche per la propria famiglia: costrette per
il resto della loro vita ad essere esposte al riso e allo scherno
della gente, private oltre che del loro volto, anche di un futuro,
esse sono condannate a dover vivere in una condizione di isolamento.
Un fenomeno
in aumento
La facile reperibilità
dell'acido in vendita a poco prezzo in tutti i villaggi rende queste
aggressioni di facile applicazione. Inoltre, il fatto che nella maggior
parte dei casi l'assalitore non venga denunciato per paura di ulteriori
vendette, incoraggia l'imitazione, come dimostrano le statistiche
che vedono aumentare in maniera esponenziale il numero dei casi registrati
negli ultimi anni. In teoria, per un reato del genere sono previste
pene fino all'ergastolo, la realtà dice però che pochissimi
assalitori hanno subito condanne e si trovano ora dietro le sbarre.
La punta di
un iceberg
Purtroppo fino a questo
momento non esistono delle statistiche ufficiali sul fenomeno, raramente
denunciato nei villaggi. A questo proposito I' UNICEF sta provvedendo
alla creazione di un Trust Fund che, oltre all'organizzazione di attività
di assistenza alle vittime, si propone di raccogliere dati precisi
su questo problema.
La donna in
Bangladesh
Il ruolo della donna nella
società Bengalese, sebbene abbia fatto notevoli progressi in
questi ultimi dieci anni, rimane molto difficile: la maggior parte
della popolazione femminile vive in regime di completa sottomissione,
senza alcun tipo di istruzione o assistenza sanitaria, nel timore
della violenza domestica e sociale. Gli importanti passi avanti registrati
nel campo della frequentazione scolastica femminile hanno scatenato
una reazione violenta e paradossale da parte di alcuni uomini, che,
di fronte a questa rivoluzione del sistema tradizionale, hanno assunto
un atteggiamento negativo che è degenerato, in molti casi,
in episodi di vendetta. Una sorta di gelosia per le donne che in pochi
anni dalla avvenuta concessione alla scolarizzazione, sono riuscite
ad arrivare alla laurea e ad una partecipazione attiva nella vita
sociale.
Il governo, in collaborazione
con le ONG locali, sta affrontando il problema, ma rimane molto lavoro
da fare per il miglioramento della condizione femminile, tenendo anche
conto di fattori come le difficoltà di comunicazione tra la
città ed i villaggi periferici, soprattutto durante le inondazioni
che periodicamente affliggono il Bangladesh.
Come intervenire?
Siamo partiti con l'intenzione
di operare subito le ragazze colpite dall'acido; poi i nostri medici
ci hanno presentato una situazione disarmante. La mancanza di strutture
di pronto soccorso adeguate, di reparti dedicati alla cura delle ustioni,
della possibilità di offrire trattamenti chirurgici specifici,
unitamente all'enorme difficoltà di trasporto immediato delle
vittime all'ospedale, rendono il paese impreparato ad affrontare i
tragici incidenti di cui sono state vittime queste giovani donne.
I vecchi casi hanno fatto registrare peggioramenti a causa della mancanza
di cure adeguate e necessarie in quanto l'azione devastante dell'acido
continua nel tempo se l'ustione non viene trattata immediatamente
e in maniera dovuta.
ll Progetto
di COOPI
Le poche operazioni che
saremmo riusciti ad eseguire, magari all'estero, non sarebbero state
altro che un palliativo: la risposta da dare é più complessa.
Due missioni di COOPI sulle tematiche della chirurgia plastica e della
pianificazione e progettazione di interventi sanitari in realtà
particolarmente difficili, hanno permesso di individuare le linee
basilari del progetto.
In campo sanitario COOPI
si propone la creazione di un centro di riferimento e il potenziamento
delle competenze del personale locale, attraverso corsi di formazione
rivolti a personale medico e paramedico. Questo stesso personale,
una volta formato, potrà in un prossimo futuro occuparsi direttamente
del lato chirurgico.
Il problema non si risolve
con la sola operazione chirurgica: l'acido infatti, oltre a deturpare
i volti delle vittime, va a danneggiare gravemente funzioni fondamentali
come la vista e l'udito, nonché la mobilità delle parti
del corpo.
Per quest'ultima si rende
necessario un lungo trattamento di fisioterapia riabilitativa, ed
anche in questo caso è prevista la formazione di personale
locale. Unitamente all'intervento chirurgico e alla fisioterapia,
significativa importanza riveste il recupero psicologico delle vittime
degli attacchi, un lavoro che COOPI sta già portando avanti
coinvolgendo nelle sedute anche le stesse famiglie delle donne sopravvissute
all'acido.
In campo sociale, il supporto
psicologico e la formazione professionale rivolta alle vittime delle
aggressioni, rendono possibile il reinserimento delle giovani donne
nella società, con un ruolo potenziato dalla loro indipendenza
economica, condizione conquistata grazie alla creazione di cooperative
di lavoro. La complessità e la molteplicità dei settori
toccati dal progetto hanno reso indispensabile la ricerca di un ente
finanziatore che possa affiancare la risposta della solidarietà
popolare. Su queste basi, la nostra psicologa Alessandra Ferri sta
lavorando dal luglio del 1998.